Artista
Come architetto e artista mi riconosco nell’ espressione: a regola d’arte. Non è una formula, come comunemente si crede, solo per l’esecuzione dei lavori, ma una regola di vita, valida per ogni attività umana. Nelle nostre che ho realizzato a Roma, Firenze, Ferrara, Lecce, ho sempre cercato di sottolineare un principio tanto caro a Coomaraswamy: ogni uomo è un artista particolare e non ogni artista è un uomo particolare. Firenze, la città dove ho conseguito la laurea in architettura, esprime tale principio, sebbene sembri il contrario. La pluralità dei ruoli dell’artista rinascimentale va intesa nella libertà e apertura creativa per ogni attività umana, non nell’esuberanza individuale della singola personalità.
Sono due, forse solo tre le immagini che ispirano il mio lavoro, racchiuse nei ricordi di un’infanzia vissuta in un piccolo paese di provincia. Un vestitino bianco con i bordi ricamati da sgargianti colori, di cui andavo molto fiero, il sorriso di mia madre mentre si piega per abbracciarmi, e la presenza altera e bonaria di mio nonno. Lo ricordo visto dal basso, era, come diceva mia zia con orgoglio, un uomo molto alto, “sul letto di morte misurava 2 metri e due“. Alcuni ricordi vengono dal cielo, non rappresentano, come erroneamente pensiamo, il passato, il presente o il futuro, ma qualcosa di molto più importante, rappresentano la nostra vocazione e il nostro destino. Se Zola scrive che Manet è “biondo”, io dovrei essere bianco, grazie a quel vestitino, a quel regalo di cui suppongo sia stata mia madre l’artefice.
La visione di quelle immagini è circonfusa di luce, una luce che le unisce e nello stesso tempo le distingue, rendendole vive e presenti anche quando sembrano assenti. “Venire alla luce“ potrebbe essere questa l’espressione migliore per individuare e rappresentare il mio lavoro. E’ stata per me una meravigliosa scoperta sapere che il colore del lutto in Giappone è il bianco, un bianco che a noi occidentali lascia la speranza di un passaggio verso un mondo più puro. Ma sapere, da Newton, che nel bianco tutti i colori hanno la loro dimora, non mi rallegra quanto lo stupore e il mistero della loro presenza nell’arcobaleno. La semplice visione di quel miracolo è sufficiente a darmi la forza di vivere. Mi riempie di coraggio sapere che i colori sono sospesi nello spazio, che nascano da un temporale o da una cascata, dall’ unione del sole e dell’acqua. E mi rende ancora più felice sapere che esiste un arcobaleno della luna, dell’oscurità e della notte. Per sentire la sostanza del colore, la sua realtà, senza aspettare l’arcobaleno, prendete un pizzico di colore in polvere, spargetelo in aria e godete della sua sparizione, perché “prendere“ e “lasciare”, come sostiene Cristina Campo, sono una sola estasi…
PROCESSO
La rete “è” leggera, “è” trasparente, proietta e cattura le ombre che lei stessa crea, sebbene possano anche non apparire. È la sua capacità di filtrare e trattenere la luce ad attrarmi, di generare grazie alla luce il positivo e negativo, senza antagonismi e senza paura di accettarne il mistero. La rete, sia come superficie, che come trama, mi permette di sognare senza incorniciare i miei sogni, di sentire e realizzare le condizioni più diverse.
Se la tratto come un pieno, assume la sostanza di una tela, e posso viverla come pittore. Se la lascio com’è si rivela appunto per quel che è, una tela sdrucita, e posso, come un restauratore, ricostruire quel che scopro man mano che procedo nel lavoro. Nessuna teoria, nessuna ideologia, nessun peso culturale da portare per poi sbarazzarsene o superare…
mostre
2015 – Rome
2016 – Rome
2017 – Rome
2018 – Rome
2018 – Rome
2022 – Rome